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Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

245249
Grazia Deledda 50 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Verismo
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Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

GRAZIA DELEDDA Il ritorno del figlio La bambina rubata NOVELLE

Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

del veicolo non si mosse neppure, tanto che il cavallo stesso, non facendo a tempo a scansarsi, si fermò di botto. Davide però non era un uomo

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Verso la una ero davanti alla drogheria deserta, accecato dal sole della strada, dal barbaglio del mare che pareva uno specchio mosso, e dai miei

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, anche Tobia, anche il padre di Fiora, anche la zia. A questa, però, non dicevo ancora nulla. E anche Tobia si guardava bene dal dir nulla del nostro

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lei: ma la vedevo più seria del solito, preoccupata, e avevo rimorso di darle dispiacere: mi faceva pena, ma non potevo confidarmi con lei. Avevo

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perdita del denaro non mio, con quell'umiliazione e quel danno, scontavo anch'io qualche cosa. E il lungo e comico peregrinare mio e della guardia prima

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veramente mi sembrava di non potermi più sollevare di terra. Me ne andavo sulla riva del mare, poichè in casa della zia soffocavo, e stavo giornate

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o ce l'avrebbero portata? E la zia che pensava? La zia non aveva più riparlato del nostro triste segreto, ma era sempre pensierosa, preoccupata. Un

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forme umane, mi guardava dall'alto, con gli occhi azzurri lagrimanti d'acqua. Era il suocero del mio creditore. Confesso che nel ritrovarmi salvo la mia

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La sua indifferenza a ogni altra cosa era tale che neppure la vista del bambino che Elisabetta le depose accanto sulla panca la scosse. Solo domandò

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della cucina usciva un odore di pesce arrostito, di frutta cotte: odore di benessere che si mischiava al profumo di poesia del giardino. I piccioni

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moglie del mio creditore; la ringrazio e le domando scusa se ho risposto quasi male alla sua offerta. Le confesso che no, non ho speranza di pagare il

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Così cominciai a frequentare la casa del mio creditore. Del resto non ero io solo a sedere intorno alla tavola di marmo che formava come un altare

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tali le portavo alla donna, e come tali essa pareva riceverle. Non si parlava più del debito, del modo di sistemare la mia vita; io mi lasciavo portare

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D'un tratto fui preso da una grande timidezza. Non osavo più tornare dalla moglie del mio creditore, e ne davo la colpa al mio orgoglio, alla paura

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tempo cattivo lo costringeva a stare a casa. Del resto io mi sentivo felice, sollevato di un gran peso all'idea che l'avvenire della mia creatura era

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sporcare il pavimento; apparve la figura arcigna del marito. La donna sedeva al suo posto, accanto al braciere, di nuovo con lo scialle chiuso sul collo

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di fronte a me è bella su quello sfondo, dolce e succosa come un frutto maturo: e basta che io la tocchi con la punta del piede per farla tremare

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che la moglie del mio creditore non faceva nulla per favorire la nostra passione. Era una donna timida, casta e buona. Mi voleva perchè ero giovane e

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, però. La speranza torbida del peccato mi annebbiava la mente: ed era davvero come una nebbia, che saliva dalla profondità del mio cuore e mi avvolgeva

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com'era, come del resto si aggiustava nei giorni di festa, sebbene non uscisse fuori di casa, coi capelli lisciati e le scarpette lucide. Fece cenno

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fatti miei? Perchè si opponeva alla vendita del terreno? E perchè non mi domandava neppure la ragione per la quale avevo preso i danari dall'usuraio e

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Dopo non so bene cosa accadde. So che passai due volte davanti alla porta del mio creditore. La rabbia, o qualche cosa di più cieco della rabbia mi

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fondo ero contento della sua malattia, che m'impediva di tornare in casa del nostro creditore: un odio sordo mi vinceva per quella gente, compresa la

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promessa: E io tenni la promessa. Mandai col vecchio la lettera del nano alla moglie del mio creditore e ricevetti subito la risposta: la balia andasse

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moglie del mio creditore lavorava seduta accanto al braciere, la sua fisionomia era la solita, e solo si alterò al vedermi, ma di un turbamento che mi

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rispose, ma quando rientrai un'altra volta nella camera mi diede una busta con dentro del denaro. E io andai dal dottore. Il dottore abitava piuttosto

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Andai via, naturalmente senza aspettare il ritorno del dottore e senza lasciare i denari. Questi bisognavano a me, adesso, per ogni occorrenza, e non

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Il diavolo mi aiutava e mi spingeva. Passando davanti alla casa di Tobia vidi che la persiana e la porta a vetri del salottino erano socchiuse. Era

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misterioso fagotto: e mi pareva sempre che la bambina piangesse: sentivo i suoi lamenti dentro di me, ed erano invece i gridi del mio cuore, i battiti del

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penetrava fin dentro la pineta. Io ricordavo la tragica sera in cui m'ero aggirato intorno alla casa di Fiora, col peso del mio amore che invano

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rumore dei miei passi, il fruscio delle foglie, e un suono lontano che dapprima mi sembrò fosse dentro di me: il mormorio del mare. Poi d'un tratto mi

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la zia morì: aveva pagato il mio debito e mi lasciava erede del terreno, della sua casa e di un fascio di titoli di rendita ch'erano depositati

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scoprire il mistero del bambino sperduto: il brigadiere, certamente, riuscirà a sapere tutto: per questo è brigadiere: perchè dunque deve pensarci lei

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camminò. Dio, Dio mio! Era come Gesù che camminava sulle acque del mare. Ti ricordi, Albina? E quando lo mettevi sul letto egli si divertiva ad afferrarsi i

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Albina dormì poco, quella notte. II calore del bambino si comunicava al suo corpo duro e legnoso ma sopratutto alla sua anima. Era un'anima dura

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bevuto il caffè e la luce del giorno irradiasse la camera, finì col riaddormentarsi: un sonno lieve attraverso il quale sentiva i rumori della casa

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gola: avrebbe voluto mettere del veleno nel caffè che gli offriva, eppure desiderava ch'egli proseguisse. Egli proseguiva; ma parlava di lei adesso

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del cavallo ad andare avanti, e, in fondo, ricorda ch'egli è un uomo celebrato in tutti quei dintorni per la sua scrupolosità di coscienza e per la

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Michele. Ed ecco Michele con una tazza di latte in mano: con l'altra mano cerca la testa del bambino sollevato sui guanciali e gli avvicina la tazza

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Disse subito a sè stessa che si sbagliava anche lei: si offese della sua illusione, del suo turbamento: le pareva di rubare qualche cosa al suo vero

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occhi: ma Elisabetta sbagliava dicendo ch'erano simili ai suoi: erano gli occhi del suo Elis bambino.

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tutta, così, di tanto in tanto, per ogni gesto ed ogni grido del bambino. Forse era la primavera, col suo alito materno, a scioglierle quel gran dolore

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goccie di sangue cadere dalle gambe scure e dai piedini scalzi del bambino; e ne provava un senso inesprimibile di raccapriccio; quel sangue

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loro. Anche il cieco era venuto piano piano a mettersi in una piega del muro, cercando di non farsi vedere per non irritare la padrona, ma odorando

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era sua, e si viveva, almeno io credevo, con l'affitto del piano superiore: noi si abitava al piano terreno: un alloggio melanconico, dove all'inverno

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spensierato, o per meglio dire incosciente e beato come un animaletto domestico ben tenuto. Tutti, del resto, eravamo così: allegri e anche un po' crudeli

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ripetevano qua e là; tutta la siepe, del resto, era malandata, vecchia di chi sa quanti anni: neppure dove confinava coi campi della casa colonica era

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Così passavano i giorni e le notti, tutti eguali, monotoni eppure dolci in fondo, irradiati dalla luce del mio segreto. Ancora mi pare di vedere la

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un vestito nuovo di tela ch'ella mi aveva fatto fare per l'estate: mi vidi grande e grosso più del solito, col viso grasso e colorito, le mani bianche

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